C'è un'antichissima leggenda dei Monti della Laga, ben riportata nelle opere del grande storico di Sulmona Giovanni Pansa, che narra una delle storie più incantevoli delle tradizioni popolari teramane. C'è un tesoro nascosto nelle cavità della montagna che viene guardato a vista dal diavolo in persona. Chiunque si azzardi a rubarlo, fa una brutta fine. La storia, di cui si conoscono numerose versioni, inizia sempre quando un cacciatore di tesori decide di rubare l’oro e di sfidare quindi il diavolo e la morte.
Di recente la leggenda ha ripreso notorietà grazie al volume di racconti "La porta di ferro", scritto dal giornalista teramano Nicola Catenaro e pubblicato nel 2009 per i tipi della casa editrice "Ricerche & Redazioni". Qui "La porta di ferro" è una sintesi di varie versioni, con l’aggiunta di una vicenda fantasiosa e dai contorni particolarmente grotteschi e tragici che riguarda una famiglia di emigranti teramani. Il racconto è ambientato nelle Gole del Salinello, uno dei posti più suggestivi della montagna teramana.
Ma tante sono le suggestioni che provengono dalle leggende, dalle credenze e dall'universo fantastico delle tradizioni popolari abruzzesi. Ad affascinare, in tutti i racconti, è il lato misterioso ed oscuro della montagna teramana. Il territorio, peraltro, si presta per sua natura e conformazione ad ospitare le tracce di paurose storie di licantropi, diavoli, fantasmi e mostri di ogni genere. Ma anche leggende struggenti, come quella di Maia, la più bella delle Pleiadi, che fuggì dalla Frigia per portare in salvo il suo unico figlio Ermes, il gigante nato dalla sua relazione con Zeus e caduto in battaglia. Dopo un lungo viaggio, si rifugiò tra le montagne abruzzesi per cercare un’erba miracolosa che avrebbe potuto salvare il suo amato figlio. Ma la montagna, ricca di erbe medicamentose, era purtroppo coperta dalla neve, dunque ogni suo tentativo di ricerca fu inutile. Ermes morì e Maia lo seppellì sul Gran Sasso, dove ancora oggi, chiunque osservi la montagna da est, può riconoscere il profilo del "Gigante che dorme". Anche Maia, logorata dal pianto e dal dolore e dopo un lungo cammino, esalò l'ultimo respiro sul monte che l’aveva accolta e che oggi porta il suo nome, la Majella appunto.
Ma l'universo fantastico dell’Abruzzo è popolato anche da tanti altri esseri partoriti dalla fantasia popolare: tra i più ricorrenti figurano i "mazzemarille", gnomi o folletti dispettosi che, soprattutto di notte, si divertono a fare scherzi a chi riposa picchiando continuamente alle pareti delle stanze da letto o battendo sulla spalliera del letto e rendendo quindi impossibile il sonno del malcalpitato.
Impossibile dormire anche per chi è perseguitato dalla "pantàfeche", una paurosa presenza che si stende di notte sopra il corpo della vittima (mentre questa riposa a letto) opprimendola e quasi soffocandola per ore come un’indigestione o un terribile incubo.
E ancora, come nelle migliori tradizioni popolari, non mancano le streghe, i fantasmi, i lupi mannari e tutte le altre creature malefiche – compresi i "musichitte", anime morte prematuramente che vagano ogni notte pregando e cantando in eterno - pronte a infestare la vita di famiglie o a segnare in maniera beffarda il loro destino di chi ha la sventura di imbattersi in loro tra urla e spaventi a non finire.