La realizzazione della strada consolare Cecilia è storicamente circoscrivibile nell’ambito cronologico che vede nel 293 a. C. la conquista del territorio Sabino e Pretuzio, ottenuta con una rapida e violenta campagna condotta da Manio Curio Dentato . L’assorbimento del territorio dei Pretuzi fu conseguito mediante le fondazioni della colonia latina Hatria (Atri) e Castrum Novum (Giulianova), nel 268 -284 a.C.
Coerentemente con il programma di assorbimento e di ristrutturazione del territorio conquistato fu l’apertura della Via Cecilia, lungo un percorso certamente frequentato in epoche precedenti. Le fondazioni coloniali prevedevano, infatti, la creazione o la risistemazione di assi viari che potessero garantire un controllo diretto sulla nuova occupazione. Questa necessità probabilmente nacque anche dallo sfruttamento delle saline adriatiche nel momento in cui le saline ostiensi non potevano più essere sufficienti al fabbisogno dello stato romano in rapida espansione.
Nel primo tratto la Via Cecilia ricalcava la già presente Via Salaria raggiungendo Interocrium (Antrodoco), da qui se ne distaccava e proseguiva verso Amiternum per poi risalire verso l’Appennino. Presso l’abitato romano di Poggio Umbricchio, cadeva il miliari CIII, si proseguiva poi fino al paese di Montorio al Vomano. La Cecilia, continuava da qui un doppio itinerario in funzione delle due colonie adriatiche di nuova fondazione: un asse, attraverso Valle San Giovanni (miliario CXIII) raggiungeva Inteamniae (Teramo) e poi proseguiva, seguendo più o meno il corso del basso Tordino , fino a Castrum Novum; l’altro braccio, invece, seguendo il Vomano proseguiva verso Hatria (Atri).
Montorio
Lungo il fiume Vomano, si trovava il tempio di Ercole. Notevole importanza storico-archeologica riveste questo tempio romano, scoperto nel 1865. Della struttura si conservavano resti cospicui della cella con pavimento a mosaico, realizzato in opus tessellatum con tessere di calcare bianche e riquadratura a tessere nere. Il pavimento riporta l'iscrizione dedicatoria che, grazie alla menzione delle coppia consolare, può essere precisamente datata al 55 a.C.
L'epigrafe, oltre a restituire il nome della divinità a cui il tempio era dedicato, Ercole, fornisce indicazioni circa la realizzazione dell'edificio ad opera di tre magistri di un vicus, da localizzarsi evidentemente nell'area di Montorio. A circa mezz'ora di piacevole cammino, dal piccolo centro di Piano Vomano di Crognaleto, è possibile ammirare la testimonianza archeologica monumentale più antica del Distretto della Strada Maestra: le mura megalitiche di Colle del Vento. Un possente tratto di mura in opera "quasi quadrata", a controllo dell'alta valle del Vomano, lungo cui si snodava l'antica Via Cecilia.
Teramo: Madonna della cona- Ponte degli impiccati
Come di consueto, in epoca romana, anche a Interamnia le aree sepolcrali si disponevano lungo le vie extra urbane, nel rispetto delle leggi romane delle XII tavole che vietavano di seppellire i morti dentro la città. Infatti le sepolture di Ponte Messato (o Madonna della Cona) fiancheggiavano l’antica via Caecilia, che da Interamnia conduceva ad Amiternum (San Vittorino), nonché, un’altra necropoli doveva ubicarsi lungo la via che da Interamnia si dirigeva a Castum Novum (Giulianova). Da quest’ultima necropoli provengono, infatti, due iscrizioni funerarie con la menzione di un Archipeta Eunuchus e di una Valeria Praetuttiana, nonché un’altra di Quinto Poppeo, patrono del municipio e della colonia (esposta al Museo Archeologico), riadoperata come coperchio di una tomba. Il sito archeologico di Ponte Messato, individuato nel 1961 nei pressi della chiesetta rurale di Santa Maria della Cona e nuovamente scavato, a più riprese, dal marzo del 2000 fino al 2008. Le strutture riemerse appartengono ad una vasta area sepolcrale interessata da deposizioni che coprono un arco cronologico che va dal IX secolo a.C. fino all’età imperiale. La necropoli italica, del IX-VI secolo a.C., è a inumazione mentre quella di epoca romana è a incinerazione fino al II secolo d.C. (precisamente dal II secolo a.C. fino ai primi decenni del II secolo d.C.), quando si riafferma l’inumazione con tombe alla cappuccina.
Della necropoli italica sono stati individuati anche due nuclei di sepolture monumentali distinti per tipologia e localizzazione. Il nucleo originario, localizzato nei pressi del fosso Messato, ha restituito grandi monumenti funerari del tipo a circolo con fossa centrale che hanno restituito ricchi corredi.
L’altro nucleo, localizzato all’estremità meridionale del sito, è costituito da cinque tombe di bambini, di età compresa fra i primi mesi di vita e i 10 anni, di cui i più grandi, tre, seppelliti in monumenti a circolo, e i neonati in fosse terragne.
Della necropoli romana sono state recuperate le strutture di mausolei, allineati lungo il troncone della via Caecilia.
Il mausoleo più ricco ed imponente della necropoli raggiungeva i m 3 di altezza ed era allineato sulla strada dove due cippi gemelli indicavano i confini di proprietà dell’area sepolcrale del defunto, Sextus Histimennius. All’interno della sepoltura furono recuperati frammenti a transenna e una statua in marmo bianco (oggi dispersa), datata al I secolo d.C., raffigurante il defunto in veste di togato. In un altro mausoleo sono stati recuperati più di cento frammenti in osso combusti, pertinenti ad un letto funebre con raffigurazioni umane, animali e floreali, sul quale il defunto veniva collocato e successivamente incinerato.
Teramo: sito archeologico Madonna delle grazie
Lo scavo estensivo condotto in tutta l’area ha permesso di isolare numerosi ambienti pertinenti, almeno nelle prime fasi (repubblicana ed augustea), ad edifici di carattere abitativo che, di fatto, attestano una maggiore estensione di Interamnia già per il periodo tardo-repubblicano. Gli ambienti, con murature in opera incerta, costituite da ciottoli di fiume tagliati o, nella fase più antica, interi, hanno pavimentazioni in cocciopesto dipinto di rosso e decorazioni geometriche di tessere lapidee bianche che formano motivo di reticolato o di doppio meandro. Su tale complesso edilizio, a partire dal III sec. d.C., in concomitanza con l’abbandono di ampie zone della città, si installa un impianto con caratteristiche di tipo industriale o artigianale (una probabile fullonica per la tintura dei panni). Dai materiali archeologici recuperati si è potuto datare il suo utilizzo sino a tutto il V sec. d.C., epoca in cui l’impianto fu abbandonato e poi abbattuto per il livellamento dell’intera area che sarà adibita ad esercitazioni militari esterne alle mura medievali.
Teramo: Palazzo Melatino
Un prezioso pavimento a mosaico, e i resti di pareti affrescate e di marmi policromi: sono le scoperte più suggestive emerse dagli scavi archeologici effettuati durante i lavori di ristrutturazione di palazzo Melatino. Sotto l’edificio medioevale,infatti, è affiorata una domus romana, databile al I secolo avanti Cristo ma utilizzata sino al IV secolo dopo Cristo. Della domus sono rimasti tre ambienti, due laterali e uno centrale, più grande e dalle decorazioni più sfarzose, che ha subito meno rifacimenti nei secoli.
I modelli pompeiani e le pavimentazioni della Roma sia imperiale che repubblicana ispirarono probabilmente le maestranze che nelle varie fasi si alternarono nella decorazione delle stanze della domus. L’attenzione allo stile e la ricchezza dei materiali dimostrano l’importanza economica e politica degli antichi proprietari della domus, esponenti della classe dominante di Interamnia.
Teramo: Domus Piazza Sant'Anna
Il sito archeologico di piazza Sant’Anna, ha restituito, attraverso gli scavi, resti di edifici privati di epoca romana e della successiva cattedrale di Sancta Maria Aprutiensis distrutta da un incendio nel XII sec.
Tali reperti, riportati alla luce per la prima volta da Francesco Savini alla fine del XIX sec., furono oggetto di indagini archeologiche nel secolo scorso, consentendo di ricostruire il quadro storico di tutta l’area che va dall’età imperiale a quella altomedievale del sito in questione. Notevoli i mosaici rinvenuti in tre ambienti di epoca romana, pertinenti ad un edificio privato che fu in uso dal I sec. a.c. al II sec. d.c. con vari rimaneggiamenti. I mosaici si collocano esternamente all’antica cattedrale e si affacciano su un’area scoperta circondata da colonne e con vasca per la raccolta dell’acqua piovana, che altro non può essere se non un peristilio.
Il primo vano ha un pavimento cementizio a base fittile decorato con tessere marmoree bianche che formano un disegno a rombi ed una cornice periferica in tessere bianche.
La sala al centro della domus è decorata con un pavimento cementizio a base litica bianco e nero decorato con un punteggiato di dadi neri in leucocite (selce romana) nel riquadro centrale e con una cornice periferica in mosaico bianco e nero. Un terzo ambiente è rivestito da un pavimento cementizio a base fittile nel quale sono state inserite tessere lapidee bianche e nere senza alcun disegno decorativo.
Giulianova
Le origini di Giulianova risalgono agli anni immediatamente successivi alla conquista da parte di Roma della fascia medioadriatica, con la fondazione, intorno al 290 a.C., di Castrum Novum Piceni. Per la nuova colonia marittima, la seconda del Superum Mare, si scelse un terrazzo geologicamente stabile prossimo al fiume Tordino, con asse longitudinale parallelo alla costa. Pur mancando una sicura documentazione relativa alle mura urbane, tuttavia è pensabile che Castrum Novum Piceni, venne fortificato assecondando le difese naturali del terreno. I punti di accesso vennero scelti in funzione di un rapporto ottimale tra impianto urbano e collegamenti interregionali: in direzione di Roma per mezzo della via Cecilia, e mediante la Salaria verso gli altri centri della costa adriatica.
La città, nata come caposaldo per esercitare un penetrante controllo marittimo, divenuta importante nodo stradale e dotata di un impianto portuale si pensa esteso tanto alla sinistra che alla destra del fiume, rivestì anche, grazie alla sua posizione strategica, un rilevante ruolo commerciale.
Ricordato come centro potente e fortificato da Plinio, Tolomeo, Velleio Patercolo e Strabone, Castrum Novum Piceni, che in età imperiale ebbe anche i bagni termali, conobbe una forte espansione extraurbana in direzione della costa fino a raggiungere un perimetro stimato da alcuni studiosi in oltre due chilometri.
Gli strati murari del sottosuolo, e più ancora un tesoretto monetale scoperto nel 1828 in parte liquefatto e in parte arrossito dal fuoco, inducono a ritenere che nel corso della sua esistenza la città subì più di una devastazione: tuttavia Castrum Novum Piceni fu ricostruito se nel suo agro furono dedotte colonie militari da Augusto e da Nerone.